Non credo affatto che, solo per il fatto che non se ne parli più come qualche tempo fa, l’emergenza Rom sia stata realmente risolta. Sono piuttosto convinta che, sebbene a riflettori spenti, gli addetti ai lavori continuino, come e più di prima, a combattere quotidianamente tra solidarietà e pregiudizio. L’immigrazione, in parte clandestina, è nuovamente notizia di questi giorni: campeggia sulle prime pagine dei maggiori quotidiani ed è titolo di testa di ogni telegiornale. La storia si ripete inesorabile, quasi a testimoniare che l’uomo non abbia fatto tesoro delle passate esperienze. Oggi, a far triste scuola, è il turno di Tunisia, Libia e Siria. Libertà negate, oppressioni malcelate dietro fastose parate ammaestrate, sfociano, apparentemente d’improvviso, in guerra civile e, tra vincitori e vinti, dalle rovine, ecco emergere la marea umana dei profughi, vittime sopravvissute, che, come un’onda di riflusso, cercano rifugio, approdando su coste domestiche, credendole, o almeno sperandole, amiche.
E’ a dir poco singolare notare, quanto, classe politica e popolino, siano trasversalmente accomunati nei due opposti atteggiamenti: accoglienza e respingimento. Pare, altresì, che la prima abbia la peggio sul secondo. Dove sono finiti gli “italiani, brava gente”? Quelli che danno il meglio di loro stessi nelle emergenze negative? Quelli del “dove si mangia in due, si mangia in tre”? Ridotti alla grettezza dalla crisi economica, dalla disoccupazione, dalla penuria di opportunità, tutti a guardare al proprio orticello? Forse è solo colpa della lingua italiana. Sì, perché nel nostro colto e raffinato idioma, “errare” significa sia “muoversi” sia “sbagliare”. Allora forse ci siamo confusi quando abbiamo cominciato a pensare che “muoversi” fosse “sbagliato”. Inizia tutto con un processo mentale di difesa, perché quello che non riusciamo a considerare “normale”, ci spaventa. Per questo, ciò che è “nomade, senza fissa dimora” diventa “precario, insicuro, inaffidabile, poco serio, sbagliato”, quindi da tenere assolutamente lontano dalle nostre “stabilità, sicurezza, affidabilità, serietà, correttezza”. Da emarginare. Ho conosciuto uno straordinario “senza fissa dimora”: Gesù Cristo! “… e lo pose a giacere in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Luca 2:7). “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Luca 9:58). Un emarginato, rinnegato da tutti, abbandonato persino dai suoi, condannato a morte, ingiustamente, da un tribunale di intrallazzatori corrotti. Eppure, il Suo “passaggio” ha cambiato, per sempre, la storia dell’umanità, quindi, sicuramente, la mia, ma anche la tua. Questo eccellente “senzatetto” mi ha insegnato che l’integrazione è un eufemismo senza l’Amore. “Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua. (…) Ama il tuo prossimo come te stesso. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi” (Marco 12:30-31). “Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge” (Romani 13:8). Non mi ha chiesto cibo né acqua, non un letto, né abiti puliti, solo di dimorare nel mio cuore, e in cambio, mi ha dato, per sempre, un posto nel Suo. Sebbene mi abbia assicurato che la nostra reciproca sistemazione sia permanente e il contratto non preveda rescissioni, talvolta, mi accorgo di essere io, quella affascinata dal “nomadismo”, a voler “errare”, e in questo caso, è più che mai vero che “muovermi” da Lui sia sicuramente “sbagliato”. Amico/a e caro/a nella grazia, studiamoci di accogliere Gesù nel nostro cuore come in una stabile dimora, affinché possiamo avere riservato il nostro posto nel Suo, per l’eternità.