E lo chiamarono beato…

E’ cronaca di questi giorni, la beatificazione di Karol Wojtyla. Se un milione e mezzo di pellegrini era in San Pietro, proprio non si possono contare le persone che hanno assistito alla cerimonia attraverso i mass media tradizionali ed il web. Non posso negare di essere stata un tempo, in certo modo, affascinata dall’uomo Wojtyla. L’ho sempre considerato un uomo straordinario, nel senso di “fuori del comune”. Grandissimo comunicatore, padrone dei propri mezzi e loro buon utilizzatore, a perseguimento dei propri obiettivi. Efficacissimo attore del suo personaggio. Ottimo capo di stato. Esempio per i politici di mestiere. Per taluni odierni mestieranti della politica e della religione, possedere anche una sola delle caratteristiche della sua personalità, è ambìto, quanto insperato, traguardo. Tuttavia, pur consapevole della mia impopolarità, affermo: nulla più di questo. Nulla di divino. Nulla di “aureolabile”.

Non intendo, Bibbia alla mano, innescare qui, una polemica circa la liturgia parallela costruita a tavolino, con dogmi e pseudo dottrine, che nulla hanno di scritturale, per legittimare il potere temporale della chiesa tradizionale prima, ed il suo primato religioso poi. Tuttavia, trovo conforto alle mie affermazioni, ancora una volta, nella Parola di Dio: “Beato l’uomo (…) il cui diletto è nella legge del Signore e su quella legge medita giorno e notte (…) e tutto quello che fa, prospererà” (Salmi 1:1-3). “Infatti, io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io (…); se sapete queste cose, siete beati se le fate” (Giovanni 13:17). “Ma chi esamina attentamente la legge perfetta (…) e persevera in essa (…) essendo un facitore dell’opera, costui sarà beato nel suo operare” (Giacomo 1:25). Ed ancora: “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di Colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pietro 2:9). Ho sentito qualcuno dire che, Karol Wojtyla, nell’ultimo periodo della sua vita, fosse già “in odor di santità”. Ebbene, posso dire, senza tema di smentita, di conoscere uomini e donne di Dio, sconosciuti ai più, ma non a Lui, che con la loro quotidiana testimonianza, danno gloria al Signore, e la loro lode si spande tutt’intorno, salendo al cielo “come profumo di odor soave”. In qualità di Cristiani, evinciamo palesemente, non solo dal nostro vissuto quotidiano, bensì e soprattutto, dalla Scrittura, che “beatificazione” e “santificazione” hanno a che fare con il modus vivendi che decidiamo di adottare, nel condurci durante la nostra vita terrena e non con procedure burocratiche, alquanto celate, e, tuttavia, superato un determinato iter, legittimate da un’élite religiosa. Nondimeno, con buona pace degli scettici e degli amanti del contraddittorio, a suffragare la verità biblica, se mai ce ne fosse bisogno, e non ce n’è, ci sovviene anche l’etimologia del vocabolo “santo” e cioè: separato, appartato (dal mondo e dallo spirito di questo mondo) per un servizio (a Dio). Ancora una volta, niente “aureola”! Nessuno sforzo umano, sebbene espresso in solenni cerimonie, potrà mai, post mortem, beatificare né santificare alcun chi. Voglia Iddio liberarci dalle frenanti pastoie della tradizione, affinché possiamo andare alla Sua presenza direttamente, senza intermediazione alcuna, di supposti beati o santi, se non quella unica, efficace, vivente e vera, del nostro Signore Gesù Cristo.

“Gesù gli disse: Io sono la Via, la Verità e la Vita: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6).

Alessandra Protti

Lascia un commento