Ai tempi della scuola, una delle mie materie preferite era la storia. Mi ha sempre affascinato conoscere abitudini, usi, tradizioni, in una parola la vita dei popoli antichi, in quanto nostri predecessori, perché ho sempre pensato che le loro esperienze sia vittoriose, sia fallimentari, sono il passato nel quale affondiamo le nostre radici culturali e dal quale non possiamo prescindere. Animata dal motto “hic et nunc”(qui e ora), dalla filosofia non ho mai trovato risposte pienamente soddisfacenti. La faccenda è che le domande della filosofia non mi sembravano per se stesse interessanti, “da dove veniamo?”, “dove andremo?”, e naturalmente le risposte, non mi parevano essere efficaci, in quanto tutte potevano essere giuste o sbagliate allo stesso tempo. I veri filosofi credo pensino proprio questo, che le domande siano più importanti delle risposte… Ricordo, sorridendo, l’opinione che aveva mia madre, circa i filosofi: “per farsi di queste domande, devono aver già conciliato il pranzo con la cena…” Onestamente, in fondo, anche il mio pensiero non credo differisca di molto… Schematizzando molto grossolanamente, ho compreso che l’oriente da più importanza all’“essere”, mentre l’occidente al “fare”.
Posso ben dire di essere figlia dell’occidente, e, forse anche a motivo dei geni materni, sono senz’altro molto portata per il “fare”. Mi piace il fare, mi da soddisfazione, motiva i miei sforzi, non mi fa sentire la fatica. In certo modo mi affascina più il fare che il risultato conseguito alla fine. Tuttavia, in qualche occasione, il mio fare diventa schizofrenico, e mi sfugge di mano, diventando “affannarsi”. Leggo in Luca 10:38-42: “Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio; e una donna, di nome Marta, lo ricevette in casa sua. Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola. Ma Marta, tutta presa dalle faccende domestiche, venne e disse: Signore, non ti importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti. Ma il Signore le rispose: Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta.” Mi piace Marta, le assomiglio, per educazione e professione mi è consono avere a che fare con il servizio, in molte occasioni ho preteso di legittimare il mio operato, utilizzando questo modello biblico. Non funziona così! Presa dal concretizzare il servizio a Dio attraverso il servizio alla fratellanza, nondimeno, ammaliata dai talenti di cui il Signore ha voluto equipaggiarmi, ho perso di vista la vera essenza del servizio a Dio: manifestare la Sua gloria attraverso le proprie azioni. Quando questo accade, allora sono una Marta sbagliata. Spesso mi sono domandata dov’è il limite tra il buon fare e l’affannarsi sterilmente, e come fare a riconoscerlo. Credevo di dover conoscere questo limite ed imparare così a correggere il tiro! Non ho trovato questo limite, perché non esiste. Il segreto è non separare l’essere dal fare, ma farli funzionare insieme, in modo che l’essere sia la spinta del fare. Essere cristiani nati di nuovo ci permette di esprimere questa condizione. Se abbiamo realizzato realmente la nuova nascita, le nostre azioni saranno l’espressione del nostro essere interiore. Senza l’ispirazione di Maria il fare di Marta non porterà alcun frutto. Il nostro fare, solo animato dal nostro essere cristiani, si concretizzerà armonicamente, poiché l’uno non può sussistere senza l’altro.