I miei primi trent’anni sono stati spesi alla ricerca di una identità spirituale, ho inseguito Dio partendo dalla religione tradizionale cattolica, per finire ad avere incontri con gruppi che si occupavano di esoterismo, passando attraverso: testimoni di Geova, buddisti e musulmani. Ogni volta era la stessa storia, iniziavo a documentarmi e poi scoprivo sempre qualcosa che non funzionava: nella dottrina, nell’etica o nel fondamento di quei gruppi. Il tempo passava ed io ero sempre più lontano dalla verità e questo metteva in me un principio di vita guidato dal materialismo, portandomi inevitabilmente ad una condotta immorale che sfociò nel vivere al di fuori dalla legge, era una vita gestita dall’unico dio a cui in quel momento rendevo il culto: mammona. La sete di guadagnare più denaro possibile per spenderlo in dissolutezze, mi fece intraprendere un cammino senza via di ritorno fino a diventare uno strumento nelle mani del maligno e, la mia attività principale era il traffico di stupefacenti. Paradossalmente, le cose mi riuscivano molto bene, il nemico delle anime nostre sa come accecare chi gli appartiene, e per alcuni anni percorsi quella strada raggiungendo livelli sempre più alti in quel mondo dominato dall’illegalità. Si sa che le cose hanno un loro tempo, il capitolo terzo dell’Ecclesiaste lo dice chiaramente, così dopo il tempo della corruzione, arrivò il tempo della legalità: questa passò attraverso il mio arresto nel gennaio ’94. Era giunto il momento di rendere conto alla giustizia terrena degli uomini, di quelle che fino ad allora erano state le mie azioni. Trascorsi il mio primo mese di detenzione, gennaio, nel carcere di San Vittore a Milano, il secondo nel carcere di Asti e poi, alla vigilia della Pasqua del ’94, fui trasferito al carcere di
Modena. Questa situazione di detenzione, si ripercuoteva oltre che su me stesso, anche sulla mia compagna e su nostra figlia, che all’epoca aveva appena cinque mesi, procurando tutti i disagi che essa comporta, per la lontananza e per l’impossibilità di vedersi in quella fase giuridica di istruttoria, durante la quale mi veniva negato il permesso di poterle incontrare. Ero sempre più solo, cercavo un senso per poter giustificare tutto quello che mi accadeva, dando la colpa alle più svariate persone e situazioni, senza accorgermi, che l’unico che avrei dovuto biasimare era me stesso. Le prime persone che in un primo momento incontrai nel carcere di Modena erano uomini come me e come tanti ce ne sono nelle sezioni di alta sicurezza, dove sono ristretti coloro che sono tra i più pericolosi per la società; ma subito dopo conobbi un uomo che tra tutti questi si distingueva: forse era per la sua folta barba, forse per la sua tranquillità, ma quando si avvicinò per parlare con me, fui felice di conoscerlo. Si presentò: “Piacere, mi chiamo Pino”, poi aggiunse una domanda che mi colpì: “che rapporti hai con il Signore?”.
Da quel momento, incuriosito da quella persona che mi fece una domanda tanto strana, in un contesto come quello carcerario, iniziai a parlare con lui, ed egli, pazientemente, faceva fronte, con mille spiegazioni, alla mia indifferenza verso ciò che avevo ormai reputato essere qualcosa di comodo: la fede. Mi offrì un Nuovo Testamento per poterlo leggere, aveva la copertina blu, conteneva anche i Salmi e recava all’interno il timbro dei Gedeoni, di questi volumi ne vidi molti nelle carceri italiane, segno che quest’opera di distribuzione è meritoria e capillare. Il mio nuovo incontro con la Scrittura, a differenza delle altre volte, era metodica e non saltellante, volta ad estrapolare alcuni versetti dal loro contesto, per meglio adattarli alle tesi delle correnti pseudo-religiose che avevo frequentato, e, questo, mi serviva per cercare riscontri nelle parole del fratello Pino. Gli tenni, naturalmente, ben nascosto questo mio atteggiamento “d’indagine”. Ero convinto che prima o dopo avrei trovato qualcosa, come negli altri casi, che lo avrebbe messo in difficoltà, e, tra un discorso ed una lettura, passava il tempo. Ogni pomeriggio avevamo la possibilità di riunirci in una cella con alcune persone e Pino arrivava con la sua Bibbia, leggeva qualche passo, lo illustrava e pregava ad alta voce per tutti noi.Fu nel momento di una preghiera, che in me avvenne qualcosa di particolare: Pino stava pregando per me, per la mia famiglia e per la mia situazione; quella preghiera non era qualcosa di meccanico da ripetere all’infinito, né possedeva strutture lessicali preconfezionate, era qualcosa di diverso, che usciva dal profondo di chi la faceva, e nei suoi vocaboli si sentiva la sincerità. Quelle parole entravano nelle mie orecchie e mi scaldavano l’anima: sentii per la prima volta la certezza di un Dio che ascolta, che è presente e che può intervenire. La gioia si mescolava al senso di colpa, cha affiorava dalla mia coscienza per tutto ciò che di sbagliato avevo fatto in passato e mentre le lacrime silenziosamente mi rigavano il volto, sentivo una pace, mai provata prima, entrare nel mio cuore. Avevo incontrato il Signore e non me ne rendevo conto. Incalzato dalle vicende processuali e non avendo ancora affidato la mia vita a Gesù, continuavo a cercare sempre nella Scrittura qualcosa che potesse darmi la conferma che gli evangelici pentecostali fossero, né più né meno, che un movimento pari a quelli che già conoscevo. Nel frattempo Pino mi aveva regalato un Bibbia che, naturalmente, iniziai a leggere dalla Genesi. Nel gennaio 95 fui trasferito nuovamente a Milano e rimasi lì per un anno per poter affrontare il processo a mio carico; tutto il tempo pregavo il Signore dicendo: “Signore fammi uscire”. Questo non era nei Suoi piani ed un po’ mi raffreddava, ma il Signore, che è giusto, non mancò mai di farmi leggere la Bibbia e di pregare, seppur, da parte mia, in modo umanamente interessato. Tornai a Modena nel dicembre ’95, avevo ricevuto una condanna a diciassette anni di reclusione ed ero arrabbiato con il mondo intero, ma quel lumicino di fede, seminato dal fratello Pino era sempre acceso nel mio cuore. Una mattina del gennaio ’96, leggevo la Parola e in un passo notai qualcosa che non avevo visto prima: “Or questi erano di sentimento più nobili di quelli di Tessalonica, perché ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (Atti 17:11). Questo passo parlava dei fratelli di Berea visitati da Paolo e Sila che, come me, “controllavano” le Scritture per trovare veridicità e, in quel momento, capii che se molti di loro credettero, chi ero io per mettere in dubbio ciò che leggevo? Da quel momento iniziai a leggere la Parola con un cuore disposto. Questo mi portò il 4 febbraio dello stesso anno ad inginocchiarmi in un’angusta cella di un carcere, ad aprire il mio cuore e ad affidare tutta la mia vita a Gesù quale conduttore, difensore e, soprattutto, mio personale Salvatore, realizzai che Lui e solo Lui aveva pagato le mie colpe e scontato il mio debito con Dio Padre. Seguirono altri tre anni di comunione intensa in quel carcere, insieme a Pino parlammo di Gesù ad altre persone: avevamo costituito un gruppo di lettura di otto persone e ricevevamo la visita settimanale del fratello Simone, Pastore della Chiesa di Bologna. Leggevo molto la Bibbia ed il fratello Simone, notando che era scritta a caratteri piccoli, me ne regalò una di dimensioni più grandi che tuttora posseggo e, anche se ormai è logora e
lisa, le parole che vi leggo sono sempre una nuova fonte di benedizione. A lui per primo, feci espressa richiesta di potermi battezzare, ormai da tempo mi ero arreso al Signore e all’evidenza che la strada intrapresa era finalmente quella giusta e che la Chiesa di cui facevo parte si occupava, solo, di tutto l’Evangelo, senza nulla aggiungere. Il battesimo però non si concretizzò. Nell’aprile ’99 fui trasferito a San Giminiano, in Toscana, il nemico ormai mi aveva perso per sempre e dava i suoi ultimi colpi di coda, e lì in quel carcere, trovai una chiesa formata da detenuti che già da tempo, coadiuvata dal Fratello Antonio, Pastore a Siena, andava avanti nel nome del Signore. Feci anche a lui la richiesta di battesimo, ma tra i tempi burocratici ed un nuovo trasferimento al carcere di Vigevano, non potei effettuare ciò che desideravo. I contatti epistolari con il fratello Antonio, sfociarono in un incontro al carcere di Vigevano con il fratello Pasquale, conduttore della Chiesa di Milano di Via Boiardo, che da oltre un decennio visitava la casa di reclusione, e da lui, il Signore decise di farmi battezzare. Ormai era giunto il tempo. Il battesimo si svolse il 6 febbraio del 2003, usammo la vasca da bagno dell’infermeria del carcere, era una vasca comune, come quella che si trova in ogni appartamento, era situata in una piccola stanza in cui appena potevano stare in piedi quattro persone. Lo spazio era angusto, l’acqua appena sufficiente, ma quando il fratello Pasquale mi sommerse e l’acqua mi ricoprì, per un attimo ebbi la sensazione di essermi immerso nel Giordano. Avevo testimoniato la mia appartenenza al Signore davanti ad un atro detenuto, il fratello Marco, ad un agente di polizia penitenziaria ed al fratello Michele, venuto insieme al Ministro. Questo avvenne nello stesso mese in cui sette anni prima avevo accettato Gesù come mio personale Salvatore. In quella vasca lasciai un “vecchio uomo”, un passato troppo pesante da portare se non avessi avuto il perdono del Signore per tutte le mondanità che avevano logorato la mia esistenza, ero nato a nuova vita, quella che sfocerà in un’eternità con il Padre. Oggi sono ancora in carcere, in tutti questi anni ho potuto parlare di Gesù a molte persone, lo faccio in un luogo che forse è l’avamposto del nemico, non gli do tregua e lo inseguo fino a farlo scappare quando altri uomini iniziano ad accostarsi alla Sacra Scrittura. Alcune volte sembra impossibile parlare a qualcuno del Signore, ma Egli prepara i cuori affinché ricevano il seme della Parola; altre volte vado incontro a scherni e sorrisini sarcastici, ma io confido nel mio Dio e “non mi vergogno del Vangelo; perché Esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, come è scritto: il giusto per fede, vivrà” (Romani 1:16) Così, la mia testimonianza ha condotto il fratello Marco a battezzarsi nella stessa vasca usata per me, e questo è stato un grande dono che il Signore mi ha fatto: raccogliere il frutto di ciò che avevo seminato. Oltre a lui, altri si sono accostati e la piccola Chiesa, nata nel nostro reparto, conta oggi quattro anime. Spero che molti altri, in altre carceri, oppure tornati ormai liberi, possano aver accettato il Signore a seguito della mia testimonianza. Come dicevo all’inizio non ho fatto nulla di speciale, ho solo impegnato il talento che Gesù mi ha affidato, in modo da non tenerlo nascosto nella terra ma che fruttasse un interesse per Lui (Matteo 25:14-30) e se l’ho fatto io, in questo posto, può farlo chiunque, ogni giorno, fuori dal carcere. La mia Bibbia dalla copertina logora è una fedele compagna, altre persone sono state spinte ad aprirla e leggerla e tra tutte le preghiere che in questi anni ho innalzato al Signore ce n’è sempre una uguale:”Signore fammi uscire”, ma da tredici anni, a queste parole ho aggiunto: “quando Tu mi ritieni pronto”. Sono sicuro che per tenermi ancora qui Egli ha uno scopo, un piano, un messaggio. Il Signore è fedele, a Lui sia la Gloria, e non permette che siamo provati oltre le nostre forze (I° Corinzi 10:13) ed il giorno che tornerò nel modo libero, esaudirà un desiderio che molte volte Gli ho manifestato: quello di poterLo lodare insieme ad altri fratelli, assistendo al mio primo culto.
Francesco