6. DANNI CAUSATI DA UNA LINGUA (TROPPO) LIBERALE – Cap. 1:19-21 e Cap. 3:1-12

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Conosciamo l’atteggiamento pragmatico e realistico di Giacomo, specialmente quando si tratta di compiere e portare a termine il servizio a Dio. In questi versi l’Apostolo tende a combattere l’ipocrisia di chi vuole fare il “maestro” a danno degli altri e l’importanza di vivere eticamente la fede in Gesù. Era attitudine peculiare delle autorità religiose dell’epoca ostentare una conoscenza scritturale per attirare su di sé il rispetto del popolo. Gesù, in più riprese, esortava i Suoi discepoli dal guardarsi dal lievito dei Farisei Matteo 23:5-8 Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini; difatti allargano le lor filatterie ed allungano le frange de’ mantelli; ed amano i primi posti ne’ conviti e i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze e d’esser chiamati dalla gente: “Maestro!”. Ma voi non vi fate chiamar “Maestro”, perché uno solo è il vostro maestro, e voi siete tutti fratelli.

Era anche tipico del carattere curioso dei Greci, sempre alla ricerca di ciò che era apparente e superficiale I Corinzi 1:22-25 Poiché i Giudei chiedono de’ miracoli, e i Greci cercano sapienza; ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per i Gentili, pazzia; ma per quelli i quali son chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Nelle pagine precedenti abbiamo imparato l’importanza di controllare le nostre passioni. Ora Giacomo ci esorta a saper dirigere la nostra “lingua” che potrebbe essere causa di sofferenza e, a volte, molte guerre intestinali. Anche l’Apostolo Paolo, conoscendo la natura umana, sapeva che, talvolta, possiamo farci prendere da sentimenti contrastanti ma ci esorta a non peccare Efesini 4:26 Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra il vostro cruccio. Molte contese sono causate da incomprensioni e fraintendimenti, specialmente quando i discorsi sono accompagnati da toni di sfida e tendenti a imporre una certa sopraffazione. Il consiglio perentorio di Giacomo è: Impara ad ascoltare prima di parlare.

È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio

(Joseph Antoine Dinouart, L’arte di tacere, 1771).

Talvolta si è così precipitosi che emettiamo sentenze prima ancora di conoscere le motivazioni. Se imparassimo ad ascoltare fino in fondo e ci sforzassimo a comprendere (e saper leggere, identificare lo spirito) ciò che ci viene detto, saremmo in grado di riconoscere la natura dei sentimenti e ciò che spinge il nostro interlocutore a parlare in quel modo; eviteremmo, così, gran numero di dissensi e divergenze. Alcuni credenti hanno deciso di non manifestarsi per paura del giudizio e della critica; non parlano perché hanno perso (o non hanno mai trovato) il beneficio della comunione fraterna. Impariamo l’arte del parlare e dell’ascoltare.

L’esortazione dell’Apostolo tende a saper controllare l’uso della lingua e di non ergersi a maestri seduti su una cattedra a giudicare quanti non la pensano come noi. Dio elargisce i Suoi doni nella misura di quanto un vaso può contenere. Ciò non significa che non dobbiamo istruire ma che sia fatto con umiltà, ricercando il bene e l’emancipazione di quanti vengono istruiti Marco 10:43-45 Ma non è così tra voi; anzi chiunque vorrà esser grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque fra voi vorrà esser primo, sarà servo di tutti. Poiché anche il Figliuol dell’uomo non è venuto per esser servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti.

Altra deleteria conseguenza a quanti giudicano con asprezza, è la presunzione di essere migliori. A volte si è severi con quanti commettono anche il minimo errore ma si è  tolleranti con le proprie lacune Matteo 7:3-5 E perché guardi tu il bruscolo che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?  Ovvero, come potrai tu dire a tuo fratello: Lascia ch’io ti tragga dall’occhio il bruscolo, mentre ecco la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, trai prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per trarre il bruscolo dall’occhio di tuo fratello.

Giacomo fa riferimento alla “lingua” – un piccolo strumento posto tra le nostre membra – tanto efficace quanto distruttivo. Con esso benediciamo Dio e allo stesso tempo malediciamo il nostro prossimo. L’esortazione è forte e perentoria: Sappiate controllare la lingua! Benché sia difficile è possibile poterla controllare, con l’aiuto dello Spirito Santo. L’Apostolo la paragona al freno dei cavalli e a un timone che, sebbene piccolo, è capace di governare una nave. È anche una piccola fiammella che può divampare e bruciare una foresta intera. Con essa possiamo incoraggiare o demolire, giustificare o condannare, risollevare o uccidere. Dio ha dato a tutti la “lingua” per esprimersi ma la differenza consiste nella capacità di usarla nel modo adeguato.

Ma, tale responsabilità è di totale competenza dell’uomo? Può mai l’uomo carnale avere il controllo della sua “lingua”? Giacomo usa la metafora della sorgente (cap.3:11,12) dalla quale non può scaturire contestualmente acqua amara e salata e acqua dolce; ovvero di un albero di fico che non può produrre olive o una vite fichi. Quindi, non si tratta dello strumento ma della sorgente, dal ceppo, dalla radice. È un problema spirituale, dell’anima! Per emettere acqua dolce dobbiamo verificare la sorgente dalla quale proviene e, nel caso, bonificarla. Lo Spirito Santo vuole fare questa opera nel nostro cuore, vuole togliere l’amaro, il salato per farci diventare una fonte d’acqua viva che scaturisce in vita eterna Giovanni 4:14 … ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna.

Desidero suggerire una sorta di vademecum morfologico che ci aiuta a distinguere l’attività negativa della “lingua”:

  • CRITICA: analizzare, esaminare, giudicare, vagliare, valutare. L’Apostolo Paolo ci esorta ad astenerci dalla critica/giudizio superficiale Romani 2:1 Perciò, o uomo, chiunque tu sii che giudichi, sei inescusabile; poiché nel giudicare gli altri, tu condanni te stesso; poiché tu che giudichi, fai le medesime cose. E, allo stesso tempo ci responsabilizza in quanto dobbiamo esercitare tale facoltà al fine di far emergere la verità I Corinzi 6:3 Non sapete voi che giudicheremo gli angeli? Quanto più possiamo giudicare delle cose di questa vita.
  • MALDICENZA: Parlare male del prossimo (di solito alle spalle). Attività malefica e peccaminosa tendente a discreditare gli altri al fine di apparire uguale o migliore della persona di cui si parla Efesini 4:29 Niuna mala parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete alcuna buona che edifichi, secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta.
  • DIFFAMAZIONE: Creare agli occhi degli altri una cattiva reputazione diffondendo notizie disonorevoli Filippesi 2:3 … non facendo nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascun di voi, con umiltà, stimando altrui da più di sé stesso.
  • CALUNNIA: Inventare, situazioni e circostanze non vere, diffondere o sostenere una diffamazione a danno di qualcuno (anche Gesù ne fu vittima) Marco 3:22 È fuori di sé. E gli scribi, ch’eran discesi da Gerusalemme, dicevano: Egli ha Beelzebub, ed è per l’aiuto del principe dei demonî, ch’ei caccia i demonî.

Desidero riportare alcune norme di legge dello Stato italiano:

Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,46.

Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91.

Dall’ingiuria e dalla diffamazione deve distinguersi il reato di calunnia (art. 368 c.p.) che si ha quando taluno incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato. Per il reato di calunnia la pena è della reclusione da due a sei anni, salvo i casi di aggravante.

Se l’uomo (la Legge umana) che non ha lo Spirito di Dio è in grado di determinare la gravità delle conseguenze derivanti dai già indicati atteggiamenti, quanto più il credente (che si suppone nato di nuovo) deve astenersi da tali pratiche 1 Giovanni 1:5-7 Or questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: che Dio è luce, e che in Lui non vi son tenebre alcune. Se diciamo che abbiam comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità; ma se camminiamo nella luce, com’Egli è nella luce, abbiam comunione l’uno con l’altro, e il sangue di Gesù, suo Figliuolo, ci purifica da ogni peccato.

Ognuno di noi ha un concetto personale della Chiesa, frutto del sacrificio di Gesù, ma tutti dovremmo attenerci a come Dio la considera: Salmo 16:3 “Quanto ai santi che son sulla terra, essi sono la gente onorata in cui ripongo tutto il mio affetto”,

e ancora Salmo 15:1-3 “O Signore, chi dimorerà nella tua tenda? Chi abiterà sul tuo monte santo? Colui che è puro di cuore e agisce con giustizia e dice la verità come l’ha nel cuore; che non calunnia con la lingua né fa male alcuno al suo vicino, né insulta il suo prossimo”

Il compito di ciascun credente, nato di nuovo, non consiste nel discutere opinioni ma di attenersi alla verità, allo Spirito e all’etica della Parola. Impariamo a stimarci e a cogliere l’occasione di crescita nelle nostre diversità al fine di collaborare per l’unità della Chiesa, il Corpo di Cristo.

Efesini 4:31 Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria!

5. LA TENTAZIONE Cap. 1:13-15

incontronutrizionista-1024x722 DEFINIZIONE E ORIGINE 

Dopo aver considerato l’utilità di essere condotti dalla sapienza che viene dall’Alto, ora l’Apostolo si accinge a mostrare quali siano i pericoli che provengono dall’interno della nostra sfera spirituale ovvero gli attacchi del nemico che agisce sulle nostre passioni, sui sentimenti, desideri e voluttà (piacere intenso e predominante che si prova nella soddisfazione degli impulsi e dei desideri). Mentre la prova ha lo scopo di rafforzare la fede del Cristiano, la tentazione tende a indebolirla per farlo ritornare sotto il dominio del peccato dal quale era stato affrancato. Mentre la prima è permessa dallo Spirito Santo (a volte voluta) per consolidarci, la tentazione genera un turbamento interiore che ci assale, sconvolgendo la comunione con Dio. Strano a dirsi, questo succede, il più delle volte, quando siamo in condizione di riposo, rilassamento spirituale. Quando ci sentiamo sicuri e appagati della nostra religiosità abbassiamo la guardia e il nemico giunge facendo pressione sulle nostre passioni. Re Davide fu assalito dalla tentazione di adulterio quando se ne stava tranquillo nel suo palazzo a Gerusalemme, mentre il suo esercito era in battaglia (II Samuele 11:2 Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; e dalla terrazza vide una donna che si bagnava; e la donna era bellissima).

Cosa significa “Tentazione”? È incitamento, istigazione, stimolo, invito a compiere il male. Non può provenire da Dio, poiché Egli è l’essenza dell’amore e non può esprimere null’altro che sia bene e buono. Il diavolo esercita una forte pressione sulle nostre passioni (concupiscenza significa bramosia di piaceri corporali) e ci porta a pregustare il piacere nascosto, agevolando l’ingresso del peccato nella nostra vita. La tentazione non è ancora peccato ma ci abbaglia e ci fa intravedere solo gli effetti positivi del desiderio, occultando, abilmente, le conseguenze che ne derivano Giacomo 1:14-15 “… ma ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo adesca. Poi la concupiscenza avendo concepito partorisce il peccato, e il peccato, quand’è compiuto, produce la morte”.

Il peccato si presentò a Caino sottoforma di gelosia e gli suggerì di eliminare l’ostacolo (il fratello Abele) per ottenere l’approvazione di Dio. Caino era ben consapevole del suo gesto ma era, oramai, succube dei suoi maligni desideri Genesi 4:7 “Se fai bene non rialzerai tu il volto? ma, se fai male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri son vòlti a te; ma tu lo devi dominare!”.

Sappiamo che anche Giuda era ossessionato dalla cupidigia e dall’avarizia, radice di molti mali I Timoteo 6:10 Poiché l’amor del danaro è radice d’ogni sorta di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si son trafitti di molti dolori. Questa bramosia lo portò ad essere posseduto dallo spirito immondo Giovanni 13:27 E allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Per cui Gesù gli disse: Quel che fai, fallo presto.

Realizziamo di essere soggetti alla tentazione quando ciò che vorremmo fare lo facciamo di nascosto, quando nessuno ci vede o ci ascolta.

COME CONTRASTARLA E VINCERLA

Premesso che sino a quando saremo in questa vita terrena saremo soggetti agli attacchi della tentazione è possibile, comunque, poterla vivere senza diventarne schiavi. Ecco alcuni suggerimenti:

Evitare situazioni che potrebbero agevolare la tentazione.

Genesi 3:6 “E la donna vide che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi, ch’era bello a vedere, e che l’albero era desiderabile per diventare intelligente; prese del frutto, ne mangiò, e ne dette anche al suo marito ch’era con lei, ed egli ne mangiò.”

Selezione dei luoghi, persone e circostanze (Eva era nei pressi dell’albero della conoscenza del bene e del male).

Non “dialogare” col male che potrebbe farci vedere solo l’aspetto piacevole (il serpente mostrò ad Eva solo la parte più allettante).

Cibare la nostra mente e il nostro spirito con visioni, letture e pensieri disonorevoli Filippesi 4:8 Del rimanente, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri.

Mantenere uno “spirito pronto” Matteo 26:41 “Vegliate ed orate, affinché non cadiate in tentazione; ben è lo spirito pronto, ma la carne è debole”.

Riconoscere e ammettere la nostra debolezza e il bisogno di aiuto.

Riconoscere le astuzie del diavolo, non sottovalutandolo (egli non ha pietà di nessuno) I Pietro 5:8 Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leon ruggente cercando chi possa divorare.

Mantenere zelo nel servizio, non cedere alla noia e all’apatia spirituale. Mantenere un atteggiamento di timore devozionale Filippesi 2:12 Così, miei cari, come sempre siete stati ubbidienti, non solo come s’io fossi presente, ma molto più adesso che sono assente, compiete la vostra salvezza con timore e tremore;

Resistere agli attacchi del nemico combattendo con l’armatura di Dio, senza vacillare. I Pietro 5:9 “Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze si compiono nella vostra fratellanza sparsa per il mondo.”

Con determinazione. Luca 4:8 Gesù gli rispose: “Sta scritto: Adora il Signore, il tuo Dio, e a lui solo rendi il culto”.

Con una buona conoscenza della Scrittura Osea 4:6 “Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza”.

Vivendo in comunione fraterna I Tessalonicesi 5:14 … sapendo che altri soffrono come noi, possiamo essere aiutati.

Fuggire la tentazione. II Timoteo 2:22 “Ma fuggi gli appetiti giovanili e procaccia giustizia, fede, amore, pace con quelli che di cuor puro invocano il Signore.”

a) Non farsi lusingare. Nella tentazione di Gesù, nel deserto, il diavolo tenta di lusingarlo per ben due volte Matteo 4:6 “Se tu sei il Figliuol di Dio …”

b) Avere la consapevolezza che peccando offendiamo Dio (timore) Genesi 39:9 “… egli stesso non è più grande di me in questa casa; e nulla mi ha divietato, tranne che te, perché sei sua moglie. Come, dunque, potrei io fare questo gran male e peccare contro Dio?”

c) Non giustificare le proprie debolezze I Corinzi 9:27 “…anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, che talora, dopo aver predicato agli altri, io stesso non sia riprovato”.

Il peccato, che in greco è al femminile (amartia), è figlia della concupiscenza, una volta giunta al suo pieno sviluppo diventa madre e, a sua volta, produce la morte, fisica e, soprattutto spirituale. Combattiamo il peccato sin dalle sue prime manifestazioni, viviamo per lo Spirito riconoscendo e controllando gli stimoli della carne (desideri impuri). Chiediamo allo Spirito Santo di eliminare ogni pensiero che ci stimola a peccare riducendo, se necessario, le opere della carne in schiavitù Romani 8:13 … perché se vivete secondo la carne, voi morrete; ma se mediante lo Spirito mortificate gli atti del corpo, voi vivrete.

4. LA SAPIENZA CHE GIUNGE DALL’ALTO – Cap. 1:5-8

sapienzaPrima di tutto dobbiamo chiederci cosa è la sapienza e, soprattutto, il valore attribuitole dalla Parola di Dio. Dal vocabolario Treccani leggiamo: “Condizione di perfezione intellettuale che si manifesta col possesso di grande conoscenza e dottrina”, ovvero, per quanto più strettamente ci riguarda e con senso più ampio, “dote, oltre che intellettuale, anche spirituale e morale, intesa come saggezza unita a oculato discernimento nel giudicare e nell’operare, sia sul piano etico, sia sul piano della vita pratica”.

3. IL MINISTERO DELLA SOFFERENZA Cap. 1: 2 – 4

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Giacomo affronta immediatamente l’universale argomento della “prova”, quasi a voler sgomberare il campo da ogni giustificazione o scusante per quanto si accinge ad esporre.

Talvolta la sofferenza è usata come una sorta di alibi per scrollarci dalle spalle le nostre responsabilità, ritenendo le nostre debolezze come ostacolo legittimo all’azione della santificazione dello Spirito Santo. Ben diversa è la posizione dell’Apostolo Paolo che riteneva la sua debolezza fonte di ricchezza e vittoria di Gesù II Corinzi 12:9 … ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me.

2. IL MITTENTE E I SALUTI Cap. 1:1

GiacomIMM 2o, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”. Quale migliore ed eloquente presentazione di un ministro di Dio! Egli si ritiene un servo, sebbene legato da un rapporto di parentela col Signore Gesù. Non avanza alcuna pretesa, mostra sottomissione e umiltà, un operaio al quale è stato affidato il compito di trasmettere il Messaggio alle “dodici tribù disperse nel mondo”. Si suppone che ai tempi di Giacomo circa quattro milioni di Giudei (di nazionalità) componevano la “diaspora”; l’Apostolo non si rivolge solo a loro, sebbene indichi il numero dodici, come totalità del popolo israelita. No, egli si rivolge ai Giudei-Cristiani che, iniziando dal giorno di Pentecoste, si erano convertiti all’Evangelo e che, a motivo di diverse persecuzioni, si erano rifugiati in tutte le parti del mondo. Un messaggio che non ha limiti di spazio, di tempo e di efficacia. Un messaggio che ha raggiunto anche la chiesa del XXI secolo. Un messaggio per tutti noi!

1. EPISTOLA DI GIACOMO L’autore

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Alcuni commentatori attribuiscono la paternità dell’epistola a Giacomo, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo (uno dei fratelli Boanerges). Ipotesi non sostenibile in quanto fu messo a morte da Erode Agrippa nel 44 (Atti 12:1-2). All’epoca la chiesa viveva ancora “lo zelo del primo amore” e non presentava ancora le problematiche descritte nell’Epistola.

Altri sostengono che si tratti del cugino di Gesù, Giacomo d’Alfeo detto il Piccolo, uno dei dodici discepoli. Ma non vi sono prove che avallino questa teoria anche perché, sembra, non godesse di grande autorità tra i giudei-cristiani.

È, invece, molto probabile che l’autore fosse il fratello maggiore di Gesù (secondogenito di Maria) il quale, secondo una tradizione, si sia convertito all’apparizione di Gesù dopo la resurrezione.

CAPITOLO 5 – UNA VITA CRISTIANA ESEMPLARE (cap. 3)

mappaLa prima sensazione generata dal primo versetto del nostro testo, avvertita dal lettore poco pratico delle Scritture e delle responsabilità affidate ai ministri, potrebbe essere: “E’ legittimo per un pastore entrare nella vita quotidiana dei credenti?” o ancora: “Non è forse responsabilità del singolo credente gestire la propria vita come meglio crede?”

Il dovere di un buon pastore è di prendersi cura dei fedeli che gli sono stati “affidati” dal Signore; il suo dovere non termina con la predicazione dal pulpito ma continua con l’esempio personale e l’esortazione proveniente dall’autorevolezza della Parola. Egli deve condurre la sua greggia “lungo le acque chete” ma anche “sui sentieri di giustizia” (Salmo 23:3), deve vegliare affinché la buona testimonianza dei suoi fratelli si manifesti anche nell’ambito sociale e famigliare. Una cattiva testimonianza del singolo non solo è dannosa alla persona ma inevitabilmente mortifica la moralità della chiesa e l’opera dello Spirito Santo

CAPITOLO 4 – CONSEGUENZE DELLA REDENZIONE: LA SANTIFICAZIONE (cap. 2:11-15)

mappaIn questa sezione, prettamente dottrinale, l’Apostolo propone la base, il fondamento della nuova natura in Cristo: Salvati per grazia in virtù della fede in Cristo

(Romani 3:20) “… poiché per le opere della legge nessuno sarà giustificato al suo cospetto; giacché mediante la legge è data la conoscenza del peccato”.

(Romani 3:23-24) “… difatti, tutti hanno peccato e son privi della gloria di Dio, e son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù”.

CAPITOLO 3 – IL CARATTERE DEL CRISTIANO (cap. 2:1-10)

mappaSino a questo punto la fatica dell’Apostolo era concentrata a “riparare le brecce” che si erano create nelle chiese, ora punta a costruire e a edificare.

Riflessione: Come saggi architetti, i ministri di Dio devono individuare i punti pericolanti dell’edificio e provvedere alla loro restaurazione, dopo di che devono riprendere a costruire, a volte anche sulle macerie.

L’Apostolo, dopo aver dedicato ampio spazio all’esortazione dei servi (vescovi e diaconi), ora chiama in causa tutti i protagonisti di quest’opera (e non semplici spettatori), responsabilizzandoli, ciascuno per la propria parte. Inizia con:

CAPITOLO 2 – LA MISSIONE DI TITO (cap. 1:5-16)

mappaCONDIZIONE DELLE CHIESE CRETESI: Nei vv 10-12 e 16 l’Apostolo calca severamente la mano denunciando una condizione che non fa onore ad una chiesa di Dio. La sua severità nasce da una santa gelosia per l’opera del Signore poiché il comportamento di quei credenti offendeva la dignità delle Chiese e rifletteva un’immagine negativa di Cristo e dello Spirito Santo.

Riflessione: Coloro che amano sinceramente l’opera del Signore si sentiranno personalmente coinvolti nella difesa dell’Evangelo e, come buoni soldati, impiegheranno tutte le loro risorse affinchè il nome di Dio non sia infangato. Per questo motivo, talvolta, bisogna avere il coraggio di contrastare il dilagare del malcostume … a qualsiasi costo.