In questa sezione, l’Apostolo Giacomo apre un argomento abilmente speculato da alcune religioni che pretendono di conquistare la vita eterna con le opere meritorie “Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore (cap. 2:20)?” Quest’affermazione, a chi superficialmente vuole sostenere tale teoria, sembra dargli ragione. In realtà non annulla l’efficacia della fede ai fini della salvezza ma che senza le opere la fede risulta vuota, senza alcun effetto nella vita quotidiana. Infatti, Giacomo nel v. 25, riferito a colui che non è solo uditore bensì facitore, lo definisce “beato NEL suo operare e non PER il suo operare”, ovvero, trova la felicità e la conferma della vita eterna in quanto la realizza NEL suo quotidiano.
Infatti, costui, che attentamente si addentra (mette in pratica) nella legge realizza la libertà e l’approvazione di Dio. In questo contesto possiamo dedurre che la fede, senza l’applicazione pratica, rimane teorica, senza alcuna efficacia né per chi la possiede né per chi dovrebbe riceverla. È come uno scienziato ripieno di nozioni teoriche che arricchiscono la mente ma non ha alcuna efficacia pratica. Sarà sicuramente successo di ascoltare un messaggio, una predicazione, oppure aver letto alcune verità che hanno colpito profondamente la nostra anima. Ci siamo sentiti toccati e forse anche stimolati ma le faccende quotidiane hanno reso inefficace ogni proponimento. L’apostolo paragona la Parola di Dio come uno specchio (ai tempi era un metallo levigato che rifletteva approssimativamente l’immagine – abbiamo notizia del primo specchio di vetro – isola di Murano – verso la metà del XV secolo ma solo nel 1569 si diffuse rapidamente). Essa evidenzia senza “compromessi” ciò che veramente siamo. Alla stessa stregua dello specchio, la Parola ci mostra anche il più piccolo difetto, noi lo notiamo ma subito dopo ce ne dimentichiamo. Lo specchio riflette sempre la realtà di ciò che siamo ma non sempre ci vediamo come veramente siamo oppure tendiamo a giustificarlo o confrontarlo con altri. Dipende dall’umore; a volte ci vediamo grassi o magri, brutti o belli, alti o bassi, giovani o vecchi (troppo in tutti i casi). L’immagine che “pensiamo di vedere” talvolta determina i sentimenti della nostra giornata.
Lo stesso vale per la Parola, quando l’adattiamo al nostro umore (v. 22, “illudendo noi stessi”). Essa mostra le nostre necessità ma subito dopo ci confrontiamo con il nostro prossimo, con le circostanze, la tolleranza dei nostri difetti, del nostro carattere e … ci dimentichiamo di come siamo fatti in realtà.
La Parola di Dio è molto chiara intorno alla necessità di vivere una fede pratica anzi, vi sono severi ammonimenti per chi pensa di speculare sulla gratuità e misericordia di Dio. Siamo salvati per grazia tramite la fede nel Signore Gesù, un atto unico ed irripetibile, ma dobbiamo saper mantenere e difendere la salvezza con una fede operante, attiva. Una tra tante, la parabola delle dieci vergini (Matteo 25:1-12). Le cinque stolte sottovalutarono il privilegio di far parte delle spose prescelte e non si curarono di provvedere l’olio necessario.
Come tutte le virtù, l’amore e la fede, se non seguite da atti concreti rimangono vuoti senza alcuna efficacia. L’Apostolo cita la carità (amore misto a pietà) che dobbiamo mostrare verso quanti sono nel bisogno (cap. 2:15-16). Le belle parole possono produrre incoraggiamento ma se non facciamo nulla per aiutare concretamente rimangono parole che col tempo perdono efficacia. Giacomo, nel suo estremo pragmatismo, lancia una sfida al lettore (v. 18): Tu dici di essere un cristiano che ha fede? Ebbene mostrami praticamente il valore della tua fede. Io, a mia volta, senza clamore o vanti, con le mie opere ti dimostro in chi e perché ho creduto. Nasce qui un’apparente contraddizione tra quanto afferma Giacomo e quanto sostiene l’apostolo Paolo in Romani 3:27 e 28 Dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; poiché noi riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede, senza le opere della legge. Nessuna contraddizione se non per chi vuole essere contenzioso. Sia Paolo sia Giacomo concordano che le opere ai fini meritori della salvezza non hanno alcun valore, così come una fede teorica, senza alcun frutto è vuota, senza significato. Avere fede e dire di aver fede sono due cose diverse. Ne abbiamo un esempio nella parabola di Gesù a proposito dei due figli inviati dal padre a lavorare nei campi (Matteo 21:28-31). D’altro canto, anche Gesù ci invita ad una fede pratica se vogliamo realizzare le Sue promesse. Nella metafora della vite ed i tralci Gesù evidenzia tre condizioni essenziali (Giovanni 15:1-10):
- Dimorare, ovvero ascoltare, ricevere, meditare e realizzare la Sua Parola tramite la quale cresce la nostra fede Romani 10:17 Così la fede vien dall’udire e l’udire si ha per mezzo della parola di Cristo (Maria aveva scelto il posto giusto Luca 10:39Marta aveva una sorella chiamata Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola).
- Portare molto frutto, ovvero essere utili al servizio (vedi parabola dei talenti Matteo 25:14-30).
- Osservare i Suoi comandamenti, ovvero ubbidienza e sottomissione Giovanni14:21 Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Solo così, dice il Signore, è glorificato il Padre e otterremo la Sua allegrezza. I tralci che non portano frutto, seppur attaccati alla vite, si seccano, vengono recisi e si bruciano. Una fede che non manifesta alcun frutto è una fede retorica, religiosa e fuorviante. Essa ci illude che siamo salvati ma quando compariremo dinanzi al Giudice per dar conto della qualità della nostra fede, non vedendo alcuna opera, dirà Matteo 7:23 Io non vi conobbi mai; dipartitevi da me, voi tutti operatori d’iniquità, mentre coloro che si saranno sforzati di far fruttare i propri talenti, seppur pochi e con gran sacrificio dirà: Genesi 24:31“Entra, benedetto dall’Eterno! perché stai fuori?