Lettura da Filippesi 2:1-11
“Due valgon meglio d’un solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica. Poiché, se l’uno cade, l’altro rialza il suo compagno; ma guai a colui ch’è solo, e cade senz’avere un altro che lo rialzi! Così pure, se due dormono assieme, si riscaldano; ma chi è solo, come farà a riscaldarsi? E se uno tenta di sopraffare colui ch’è solo, due gli terranno testa; una corda a tre capi non si rompe così presto” Ecclesiaste 4:9-12. Chi potrebbe mai contraddire l’utilità delle parole scritte dal saggio Salomone? L’uomo è una creatura sociale, creata per vivere con i suoi simili. Sebbene la tendenza moderna sia di evitare il confronto di personalità, rimane il fatto che ognuno ha bisogno dell’altro. Siamo legati uno all’altro dalla necessità di comunicare, di sentirci integrati nel mondo in cui viviamo. Seguendo l’esempio di Gesù, nella sottomissione, nel rispetto e nella stima si manifesta la nostra reale forza, personale e collettiva.Sulla croce Gesù manifestò un’apparente sconfitta, in realtà, proprio sulla croce, ha acquistato per noi la vittoria. Non fu un uomo a prendere la vita di Gesù, Egli la donò, l’offerse come olocausto per la nostra redenzione. In questo atto, per quanti si identificano con Cristo, trovano una completa vittoria. Il diavolo è stato sconfitto, così come il credente che vince il male con il bene.
A suo tempo, come Cristo fu innalzato, Dio manifesterà la Sua approvazione a quanti, con spirito di ubbidienza avranno saputo procacciare l’unità della Chiesa (Giacomo 4:10). Mondo fatto di persone che dovrebbero aiutarsi a sviluppare, a crescere, a maturare. La coesistenza non è facile, ce lo dimostrano, ogni giorno, le notizie che tingono di sangue le pagine dei giornali di cronaca. Abbiamo bisogno di imparare a convivere con i nostri simili in una mutua accettazione e nel rispetto delle regole che il buon senso c’impone. Ma è sufficiente il buon senso? Possono i codici e l’etica aiutarci a realizzare un equilibrio comportamentale delle genti? Un dato statistico: in Italia oltre il 40% delle cause civili sono rappresentate da liti tra vicini di casa.
Umiltà, fondamento dell’amore
L’umiltà è la virtù che deriva da una sincera consapevolezza delle proprie capacità e limiti, ma è, soprattutto, la scelta di valorizzare quelle degli altri. E’, in altre parole, la capacità di accettare le nostre debolezze e ammettere che abbiamo bisogno degli altri. Essere umile non significa strisciare ai piedi degli altri o avere un atteggiamento supino, ma è la capacità di mettersi in discussione e aprirsi al confronto per una reciproca emancipazione. Possiamo imparare dagli altri, così come gli altri possono imparare da noi. Se questo è pressoché irrealizzabile nel mondo, è perentorio nella Chiesa. In questo brano l’Apostolo Paolo si sforza di far comprendere alla Chiesa quali siano le basi per realizzare una vera e duratura unione. Gesù esorta i suoi ad essere luce di questo mondo e sale della terra (Matteo 5:13-14) come contrasto in un mondo di confusione e di tenebre. Quale migliore testimonianza dell’unità della chiesa (Giovanni 17:21-23)? E’ sufficiente una candela accesa per rischiarare le ombre della notte, quanto più mille candele possono vincere l’angoscia delle tenebre, quando esse brillano insieme. Ogni credente, figlio di Luce, sia impegnato, con umiltà, a risplendere di quella luce che proviene da Cristo. Egli stesso è stato per noi un esempio, annichilendosi sino ad accettare il vituperio della croce. Questo atto ci fa comprendere l’impegno e l’abnegazione che dobbiamo profondere per il raggiungimento di tale alto obiettivo (vv. 7-9). Coloro che conoscono il significato della croce, nel contesto sociale dell’epoca di Gesù, hanno una più chiara visione dell’umiltà che caratterizzò il Figlio di Dio. La Sua natura Lo spinse ad abbassarsi sino a bere il “calice amaro”. L’umiltà è l’atteggiamento essenziale per ottenere unione. Non siamo chiamati a sacrificare la nostra vita per il fratello (in altri contesti saremmo anche capaci di farlo) poiché Gesù, e Lui solo, ha potuto bere il calice per restaurare il rapporto con Dio (Romani 5:1), ma dovremmo imitare il suo sentimento, quando, cingendosi di un asciugatoio, si chinò per lavare i piedi dei Suoi discepoli (Giovanni 13:5). Impariamo da Gesù il segreto di una sana convivenza, che non deve essere fondato su precetti e doveri, ma dal desiderio di piacere a Colui che ha sacrificato la Sua giovane vita per la chiesa (Matteo 11:29). La chiesa non può e non deve, limitarsi al culto settimanale. Essa deve esprimere la volontà di comunicarsi reciprocamente lo Spirito del Signore in una santa ed accettevole comunione spirituale. L’Apostolo ci suggerisce alcuni mezzi attraverso i quali possiamo raggiungere una reale unità. Essi si sviluppano nella sfera:
Spirituale:“Comunione di Spirito, medesimo sentimento, essendo d’un animo”, di un unico sentire, sono espressioni che troviamo in quasi tutte le epistole dell’Apostolo. Il miracolo dell’unità non toglie la libertà di espressione del credente, ma genera il desiderio di anteporre la manifestazione dello Spirito e la gloria di Dio alla propria volontà. Per questo motivo, ogni cristiano, si studia, in assemblea e nella vita privata, di essere un canale, “una fonte d’acqua viva”, affinché altri possano emanciparsi dal peccato e glorificare, per mezzo dello Spirito, il nome di Dio (Efesini 4:4). Affettiva: Spieghiamo alcuni termini usati dall’Apostolo:Consolare: Dare sollievo ad un dolore morale. Confortare: Infondere forza, incoraggiare (nell’amore). Compassione: Sentimento di pietà delle sofferenze altrui, condivisone della pena, sensibilità. Tenerezza d’affetto: Atto pratico dell’amore, capacità di manifestare il sentimento. Consolazione, conforto, tenerezza d’affetto, compassione, sono sentimenti che emergono solamente tra veri credenti i quali, consolati dallo Spirito Santo, sono in grado di consolare i propri simili. Uno dei nomi dati allo Spirito Santo è “Consolatore”, Colui che ha il compito di alleviare, dare sollievo, allietare, rallegrare quanti si trovano nelle difficoltà della vita. Il credente non è chiamato a giudicare, ma ad amare, così come Gesù lo ha perdonato e consolato. Non vogliamo essere complici del maligno che accusa e condanna i credenti poiché egli stesso sarà giudicato e condannato per l’eternità (Apocalisse 12:10). Tendiamo la nostra mano ai deboli, a coloro che cadono e che fanno fatica a rialzarsi.
Relazionale: Stima altrui più di se stessi, riguardo anche alle cose degli altri, non facendo nulla con spirito di parte, in altre parole rispettare la personalità di tutti, indipendentemente dalla capacità, razza, colore, estrazione sociale e culturale. Saper ascoltare e considerare le opinioni degli altri, valutandole alla luce della Parola di Dio. Porre attenzione alle necessità altrui mantenendo uno spirito di pace, procacciando il bene ed incoraggiando con parole spirituali. Porre attenzione agli approcci, al tono della voce, alle frasi che contengono doppi sensi. Si faccia tutto senza spirito settario, facendoci coinvolgere in ogni attività al fine di raggiungere, insieme, gli obiettivi comuni (Proverbi 3:7; Ecclesiaste 7:16; Giacomo 3:13).
In conclusione
Seguendo l’esempio di Gesù, nella sottomissione, nel rispetto e nella stima si manifesta la nostra reale forza, personale e collettiva.