dalla predicazione del 26 Maggio 2013
Lettura da Genesi 7:1-7
Come facciamo ad essere sicuri che Dio esista? Possiamo cercare spiegazioni logiche, scientifiche, filosofiche ma non saranno mai sufficienti. L’unico strumento adatto per trovare la risposta è la fede. La Scrittura è perentoria: “… chi si accosta a Dio deve credere che Egli è …” (Ebrei 11:6) e punto. Altrimenti non funziona. Con buona pace degli scettici. Solo la fede ci permette di credere. Di credere che la Scrittura sia la Parola di Dio e che sia vera, vivente, attuale ed efficace.
Fatti nostri questi presupposti, possiamo analizzare il testo sacro e trovare insegnamento e guida per la nostra vita. L’Eterno considera Noè “giusto davanti a me, in questa generazione (corrotta)” (v.1). Noè, fu fedele, anche se intorno a lui imperversava il peccato. Il comportamento del Suo popolo era così degenerato che Dio decise una punizione esemplare. Anche la nostra generazione vive un decadimento economico, politico, etico, morale, sociale, culturale; basta leggere un quotidiano e seguire un telegiornale per entrare in contatto con omicidi, abusi su minori e donne, anche in ambito domestico, atti d’intolleranza e razzismo, violenze di ogni tipo. Tutto ciò è l’espressione concreta del peccato, oggi come ieri. Il peccato è lo stesso attraverso le generazioni. Il mondo ha ben ragione ad essere terrorizzato. Noi, in qualità di figli di Dio, per contro, pur non sottovalutando i pericoli, viviamo confidando che il Signore ci protegga. Abbiamo dunque una speranza, viviamo nel tempo della grazia. In ogni generazione, il Signore, nonostante l’imperversare del male, si apparta un residuo di uomini e donne di Dio, “il popolo dei giusti”, che continui a portare avanti la Sua opera. Noi siamo quel popolo. Come Noè, siamo chiamati a fedeltà ed ubbidienza in questa generazione corrotta. Mettiamoci per un attimo nei panni di Noè: Dio gli aveva detto che avrebbe fatto venire il diluvio sulla terra e fino a quel momento non era mai piovuto! Gli disse di costruire un’arca, ed il luogo dove Noè viveva non era in riva al mare, pertanto, egli non aveva certo esperienza nel costruire imbarcazioni! Gli disse di costruirla con legno di Gofer, qualità di legno che si trovava lontano dal territorio in cui Noè viveva, dove certo poteva trovare altro legname più facilmente e doveva mantenere misure e dimensioni esatte come da istruzioni divine (non era una barchetta)! Nonostante l’apparente assurdità delle istruzioni di Dio, le critiche del popolo e lo scetticismo della sua famiglia, “Noè fece tutto quello che il Signore gli aveva comandato” (v.5). Quante volte, invece, il nostro primo nemico è l’incredulità! L’arca è oggi, per noi, un simbolo: per Noè era un rifugio. E’ curioso sapere che nell’Antico Testamento il vocabolo “rifugio” è ripetuto, secondo le versioni, dalle settantuno alle ottantadue volte, mentre nel Nuovo Testamento, nelle diverse versioni non più di due volte. Nell’Antico Patto, infatti, l’Eterno doveva creare situazioni e luoghi, come ad esempio le sei città rifugio, dove il popolo poteva trovare ristoro e sicurezza, rifugio, insomma. Mentre nel Nuovo Patto abbiamo un unico rifugio, Cristo Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo.” (Matteo 11:28). Dio è amore ed in quest’ amore troviamo rifugio. L’arca è anche un simbolo di totale dipendenza da Dio. Noè e la sua famiglia rimasero chiusi nell’arca per ben un intero anno. Non avevano strumentazioni di bordo, né bussola, né timone, né vele, né remi. Dovevano dipendere totalmente da Dio. Talvolta chiediamo al Signore sicurezza per dipendere da questa e non più da Lui stesso. Egli è un Dio geloso e non intende condividerci con altri idoli.
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