1. EPISTOLA DI GIACOMO L’autore

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Alcuni commentatori attribuiscono la paternità dell’epistola a Giacomo, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo (uno dei fratelli Boanerges). Ipotesi non sostenibile in quanto fu messo a morte da Erode Agrippa nel 44 (Atti 12:1-2). All’epoca la chiesa viveva ancora “lo zelo del primo amore” e non presentava ancora le problematiche descritte nell’Epistola.

Altri sostengono che si tratti del cugino di Gesù, Giacomo d’Alfeo detto il Piccolo, uno dei dodici discepoli. Ma non vi sono prove che avallino questa teoria anche perché, sembra, non godesse di grande autorità tra i giudei-cristiani.

È, invece, molto probabile che l’autore fosse il fratello maggiore di Gesù (secondogenito di Maria) il quale, secondo una tradizione, si sia convertito all’apparizione di Gesù dopo la resurrezione.

1 Corinzi 15:4-7 “… che fu seppellito; che risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai Dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo; poi a tutti gli Apostoli”.

Troviamo Giacomo insieme alla madre Maria e agli altri fratelli (probabilmente da lui stesso condotti alla fede) “nell’alto solaio”, a Gerusalemme, in attesa della discesa dello Spirito Santo. Ritroviamo Giacomo come il principale conduttore della Chiesa di Gerusalemme, uomo stimato ed autorevole.

Galati 2:9 “… e quando conobbero la grazia che m’era stata accordata, Giacomo e Cefa e Giovanni, che son reputati colonne, dettero a me ed a Barnaba la mano d’associazione perché noi andassimo ai Gentili, ed essi ai circoncisi”. 

Il carattere

Evinciamo il carattere dell’autore dal suo scritto. Uomo fermo nelle convinzioni morali, ritenuto e soprannominato “il giusto” a motivo della sua coerenza di vita pratica. Uomo rigido nell’osservanza della legge e uomo di preghiera nella quale trovava le risorse necessarie per praticarla nel quotidiano. Questo carattere intransigente lo porta, secondo alcune leggende, al martirio. Giacomo muore, presumibilmente, verso l’anno 62 d.C. sotto i duri colpi della lapidazione. Accusato dal Sinedrio, gli fu richiesto di stornare il popolo dalla fede in Gesù. In risposta Giacomo, Lo confessa pubblicamente come Figlio di Dio e fu condannato alla lapidazione (secondo uno scrittore dell’epoca, fu gettato giù dalla terrazza del tempio, lapidato e finito con un colpo di pietra assestatogli sul capo da un lavoratore della seta).

 

Il contenuto e i destinatari

L’Epistola, scritta probabilmente intorno agli anni 60 (poco prima della sua morte) dalla città di Gerusalemme, evidenzia il suo carattere “cattolico” (universale) ed è indirizzata simbolicamente alle “dodici tribù disperse nel mondo” (v. 1). I destinatari erano tutti quei Giudei (di nazionalità) convertiti al cristianesimo che si trovavano, per motivi diversi, dispersi nella diaspora.

Il carattere dell’Epistola è grave perché grave era la situazione morale-spirituale della chiesa. Naturalmente i riferimenti sono generalizzati in quanto che, allora come oggi, in un contesto di chiesa superficiale vi era anche una chiesa il cui cuore palpitava d’amore sincero per Gesù.

Giacomo non si preoccupa molto della dottrina, punta all’aspetto morale-spirituale della condotta del cristiano. È diretto, non usa mezzi termini. Non ha timore di offendere i lettori perché ritiene la testimonianza più importante dell’orgoglio personale, carnale. Egli denuncia i vizi e l’espressione morale del peccato costringendo il lettore a mettersi in discussione. Nonostante ciò, non scivola mai nell’irriverenza perché il sentimento che lo spinge a parlare nella verità è l’amore. Amore per Gesù e amore per la chiesa chiamata a vivere la libertà con responsabilità e timore.

Lo stesso amore che la chiesa moderna dovrebbe realizzare, condividere e offrire. Il rispetto e la stima, supportate dalla verità, non dovrebbero mai permettere di scivolare nell’ipocrisia di un sentimento velato, retorico e con secondi fini.

 

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