L’ulivo e l’ulivastro

“…Ma non pongono mente a ciò che fa il Signore, e non considerano l’opera delle Sue mani. Perciò il mio popolo sarà deportato, a causa della sua ignoranza …” (Isaia 5:12-13). Isaia significa: “il Signore è la mia salvezza”. Egli è uno dei cinque profeti maggiori ed è anche il più grande fra tutti i profeti dell’Antico Testamento, Isaia è definito “profeta della redenzione” per gli argomenti trattati nella prima parte del Libro e “profeta evangelico” per i restanti capitoli. Le sue visioni profetiche ricoprono un periodo di più di mezzo secolo esattamente durante il regno di quattro re di Giuda: Uzzia, Jotam, Achaz ed Ezechia. Intanto, il Regno del Nord governato dal re Osea, con le sue dieci tribù, era stato giudicato e cacciato dalla presenza del Signore.

Coloro che scamparono alla distruzione, furono deportati in Assiria. Il Regno del Sud non stava vivendo una situazione migliore, doveva essere giudicato, ma grazie al patto di Dio con Davide, fu salvato, affinché la profezia fosse adempiuta: “da Giuda sarebbe venuto il Salvatore per redimere il mondo intero”. Isaia, grazie al suo temperamento, può essere annoverato quale “profeta della prontezza”, perché sottopose i suoi problemi e i suoi limiti alla chiamata del Signore! L’aver contemplato il Re dei Re, il Signore degli eserciti, in un incontro personale, portò il profeta a riconoscersi un peccatore bisognoso di aiuto; con il cuore rotto gridò a Dio e fu perdonato. Alla domanda: “Chi manderò? E chi andrà per noi?”, Isaia redento rispose: “Eccomi, manda me!”. Questa è la consacrazione alla quale, segue il mandato del Signore. Altri uomini di Dio, non hanno centrato pienamente l’obiettivo, hanno guardato alle difficoltà: “… sono balbuziente … sono solo un ragazzo … non mi ascolteranno …”. Potremmo noi avere una condotta simile al profeta Isaia ad una richiesta specifica del nostro Signore? Quando ci approcciamo alla lettura e alla meditazione di un brano del Vecchio Testamento, spesso ci immedesimiamo nella parte, con la certezza che noi, non avremmo mai commesso tali errori. Noi saremmo stati “perfetti”, perché non ci saremmo mai fatti condizionare dalle circostanze!: “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno” (Romani 8:28). Avremmo sempre riconosciuto l’Eterno degli Eserciti quale nostro unico e vero Dio, ubbidendogli del continuo: “Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dei oltre a me” (Esodo 20:2-3). E’ molto facile scorgere nell’altrui modo di agire, peccati grossolani e muovere delle critiche. Tuttavia, fermiamoci per un momento a considerare quante volte noi abbiamo deluso Dio con i nostri pensieri e con il nostro comportamento! Egli puntualmente ci esorta, ci parla: “Cercate il Signore, mentre lo si può trovare; invocatelo, mentre è vicino” (Isaia 55:6). Ciò nonostante, talvolta, non siamo vigili, disubbidiamo e di conseguenza siamo obbligati ad assumerci le nostre responsabilità: “Guardate, io metto oggi davanti a voi la benedizione e la maledizione: la benedizione se ubbidite ai comandamenti del Signore vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non ubbidite ai comandamenti del Signore vostro Dio, e se vi allontanate dalla via che oggi vi ordino, per andare dietro a déi stranieri che voi non avete mai conosciuto” (Deuteronomio 11:26-28). Sebbene il Signore con noi usi clemenza e misericordia (noi, infatti, non siamo quelli del passaggio del Mar Rosso), non ci manda fuoco dal cielo per distruggerci fisicamente e né invia eserciti nemici per deportarci, è altresì evidente che il non essere al centro della Sua volontà, implichi conseguenze negative per la nostra vita.

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